Si tratta del primo romanzo scritto da Russell: non mi sarei aspettata un testo così ‘sostanzioso’ da un autore che viene dal teatro.
Questo ragazzino aveva davvero tanto da dire… sì, perchè la storia è raccontata attraverso una serie di lunghissime lettere che il giovane Raymond Marks scrive al suo idolo, il cantante inglese Morrissey, nelle quali il passato e il presente si mescolano nel racconto della sua vita… triste.
Lo stratagemma delle lettere consente a Russell di mantenere il contatto con il teatro: entriamo direttamente nella mente di Raymond perchè le lettere funzionano come monologhi interiori, che danno voce alla profonda complessità del personaggio. Quello che viene raccontato è un viaggio fisico (da Manchester a Grimsby, dal 16 al 23 giugno 1991) ma anche psicologico, che porterà il protagonista all’accettazione di sé e alla consapevolezza delle proprie qualità. Il racconto del suo passato, allo stesso modo, ripercorre le tappe della sua vita dal momento in cui ha cominciato a prendere una brutta piega fino al presente, in un vortice che sembra trascinare il protagonista sempre più in basso fino quasi ad inghiottirlo, lasciandolo sempre inerme di fronte alle avversità e alle ingiustizie subite. La storia del padre assente diventa una storia dentro la storia ma assumendo tratti di realismo magico e riesce comunque a commuovere.
Leggendo le lettere si soffre con lui ma, al tempo stesso, si ride e sorride molto perchè il modo in cui Raymond interpreta e traduce in parole ciò che lo circonda è spassosissimo. Risveglia il ‘fanciullino perfido’ in noi: il sarcasmo e l’ironia sono le armi vincenti di Raymond, che vengono usate quasi a sua insaputa, quando la depressione lascia spazio a sfoghi personali … e sono i punti in cui emerge l’arguzia e l’umorismo di Russell, qui al suo meglio. In particolare, tutta la questione dell’essere fan di Morrissey viene presentata in maniera spiritosa: è uno dei tratti che lo rende diverso dagli altri e il fatto che deve vivere questa sua passione quasi provandone vergona e nascondendolo a tutti è lo spunto di molti passaggi esilaranti. La musica è molto presente nel viaggio di Raymond che giudica le persone che incontra sulla base dei loro gusti musicali. L’incontro con il camionista all’inizio del viaggio è farsesca e divertentissima:
“He put a Phil Collins cassette on and farted a few times which, in the musical circumstances, I thought was rather apposite”.
Ma naturalmente ci sono anche momenti di forte emozione, quando la depressione di Raymond ha la meglio su di lui, l’affetto commovente per la madre per la quale si immola al suo destino, l'amore viscerale per la nonna, l’infinita sopportazione delle angherie e ingiustizie subite…
Russell esprime attraverso il suo piccolo protagonista un giudizio sull’ottusità delle istituzioni e l’insensibilità, la cosiddetta supponenza del giusto:
“They just kept nodding and looking at all the black things I drew - the black sun, the black moon, the black trees, black snow - and concluded that it was me demonstrating all the blackness I felt inside of me. But … if someone had bothered to ask me I would have told them that with me sitting at the back of the art therapy room and all the other kids being bigger than me, by the time I got to the crahyon box, the only bleeding colour left was sodding black. Bu tnobody ever bothered to ask”.
Le canzoni di Morrissey accompagnano questo viaggio, una dopo l’altra. Ecco la compilation che fa da soundtrack al libro (da ascoltare rigorosamente durante la lettura):
- Heaven knows I’m miserable now,
- There is a light that never goes out,
- Shoplifters of the world unite
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